ANNESSIONE DEL VENETO ALL'ITALIA. FU VERA FESTA?

IL "FATAL 1866": IL QUADRO STORICO GENERALE

"CHI CONTROLLA IL PASSATO 
CONTROLLA IL FUTURO,
CHI CONTROLLA IL PRESENTE
CONTROLLA IL PASSATO."
(G. ORWELL)

Il 1866 viene presentato come l'anno della terza guerra d'indipendenza, la guerra che doveva "liberare" il Veneto (il Friuli, il Trentino e il Mantovano) e annetterlo al regno sabaudo.

Per la verità ci furono negoziati segreti con gli austriaci al fine di arrivare alla pacifica cessione del Veneto per una cifra attorno al miliardo di lire attuali, ma l'intransigenza dell'imperatore Francesco Giuseppe fece fallire le trattative. (1)

E così si arrivò a Berlino con la firma, l'otto di aprile, del Patto di Alleanza fra l'Italia e la Prussia. Ecco le clausole centrali:

a) l'Italia si impegna a dichiarare guerra all'Austria non appena la Prussia abbia iniziato le ostilità;

b) le due parti si impegnano a non firmare un armistizio sinchè l'Austria non abbia accettato di cedere all'Italia ciò che resta del regno Lombardo-Veneto (vale a dire il Veneto ed il Mantovano);

c) territori equivalenti per popolazione ed estensione dovranno essere ceduti alla Prussia; 

d) l'alleanza scadrà automaticamente se entro tre mesi dalla firma la Prussia non avrà dichiarato guerra all'Austria.(2)

Il 16 giugno scoppiò la guerra fra Prussia e Austria e quattro giorni dopo, il 20, con il proclama del Re Vittorio Emanuele II, l'Italia dichiarò guerra all'Impero Asburgico. 

Il 24 giugno la baldanza degli italiani fu però prontamente smorzata a Custoza (VR) ove l'esercito tricolore fu sconfitto dagli asburgici.

Fra il 16 e il 28 giugno le armate prussiane invasero l'Hannover, la Sassonia e l'Assia ed il 3 luglio l'esercito prussiano al comando del maresciallo Von Moltke sconfisse gli austriaci a Sadowa, arrivando a pochi chilometri da Vienna. 

Due giorni dopo l'Impero asburgico decise di cedere il Veneto alla Francia (con il tacito accordo che fosse poi dato ai Savoja) pur di concludere un armistizio.

In Italia furono però contrari a tale proposta che umiliava le forze armate italiane e, viste le penose condizioni dell'esercito dopo la batosta di Custoza, puntarono sulla Marina per riportare una vittoria sul nemico che consentisse loro di chiudere onorevolmente (una volta tanto) una guerra.

Gli italiani non potevano certo pensare di trovare sul loro cammino la Marina austriaca nella quale la dimensione veneta (Veneti in senso stretto, giuliani, istriani e dalmati) era preponderante. 

Il 20 luglio si arrivò alla battaglia di Lissa ed al trionfo dell'Ammiraglio Wilhelm Von Tegetthoff a capo della marina austro-veneta nei confronti della flotta tricolore.

E come non ricordare quel "Viva San Marco" che esplose fra gli equipaggi quando Von Tegetthoff annunciò la vittoria? (3)

Del resto lo stesso Guido Piovene, il grande intellettuale veneto del '900 considerava Lissa l'ultima grande vittoria della marina veneta adriatica. (4)

Nel frattempo Giuseppe Garibaldi era stato incaricato di avanzare nel Trentino, per tentare di creare lo stato di fatto che avrebbe dovuto consentire di ottenere l'appoggio prussiano all'occupazione di questa regione, secondo i termini dell'accordo stipulato a Berlino. (5)

A questo scopo aveva arruolato circa trentottomila volontari ed il 21 luglio battè gli austriaci a Bezzeca (TN). 

L'unica vittoria italiana galvanizzò Garibaldi che continuò l'avanzata su Trento poi bloccata il 10 agosto da un perentorio ordine dei vertici militari.

"Obbedisco" fu la risposta del nizzardo.

Intanto il 26 luglio Austria e Prussia firmarono un armistizio a Nikolsburg che non prevedeva la cessione del Veneto all'Italia. A questo fece seguito l'armistizio di Cormons (GO) fra Austria e Italia il 12 agosto.

Si arrivò così alla Pace fra Prussia e Austria firmata a Praga il 23 agosto. 

La Prussia si annettè i ducati dello Schleswig-Holstein e l'Hannover, il Veneto venne ceduto alla Francia che poi lo trasferirà ai Savoja.

Una clausola umiliante che testimonia il "prestigio" internazionale dell'Italia.

Tale clausola venne confermata nel trattato di pace fra Italia e Austria firmato il 3 ottobre a Vienna.

(1) Indro Montanelli - Storia del regno d'Italia - secondo fascicolo pag. 23;

(2) A. Petacco - Storia d'Italia dall'unità ad oggi - Curcio editore

(3) Vedi anche A. Zorzi - Venezia austriaca - Laterza (pag. 138);

(4) S. Meccoli - Viva Venezia - Longanesi - pag. 122;

(5) A. Petacco - op. cit. 

IL SECOLO DEI PLEBISCITI

"L'Unità Cattolica" scriveva nel numero del 3 agosto 1866: (1)

"E' ormai certo che i Veneti verranno consultati sulla loro volontà con un plebiscito, plebiscito che, a dire della Gazzetta di Firenze, num. 209 del 31 luglio - sarà più una formalità per appagare la diplomazia, che una cosa di sostanza-. Epperò anche prima del plebiscito i Popoli, i Mordini, gli Allievi, i Sella vanno a governare i popoli della Venezia in qualità di Commissari straordinari, ed il Ministero regala ai Veneti l'abolizione del Concordato e la soppressione degli ordini religiosi."

E più avanti:

"Noi, umili giornalisti, ci contenteremo di scrivere poche parole sui plebisciti moderni, i quali debbono il loro risorgimento principalmente a Napoleone III, che ha diritto di essere chiamato l'Imperatore dei plebisciti.

E' bensì vero che suo Zio, conoscendo la plebe, massime dopo la rivoluzione, fin dai suoi tempi introdusse il plebiscito quando volle approvato il suo colpo di stato del 18 brumaio, la costituzione dell'anno VIII, e più tardi i senato-consulti che stabilirono successivamente il Consolato a vita e poi l'Impero.

Ma Napoleone III perfezionò l'arte dei plebisciti, e mentre lo Zio faceva sottoscrivere i votanti nei registri, il nipote giudicò più comodo ridurre la votazione a semplici bollettini con un si e un no.

Non si dà esempio di un plebiscito il quale riuscisse contrario a coloro che lo proposero. La dolcissima plebe in grandissima maggioranza ha sempre risposto di si a tutti coloro che l'interrogarono. Il popolo ama i si, e li regala a milioni ai suoi governanti."

E cita quattro plebisciti che si svolsero in Francia e che ebbero riscontri ....plebiscitari: interessanti i casi di Nizza e della Savoia dove i votanti non ebbero il minimo dubbio sulla necessità di riunirsi alla Francia.

Arriviamo poi a quelli che interessano più vicino i popoli "vittime" dell'espansionismo sabaudo.



V° Plebiscito (Toscana).

L'11 e 12 di marzo del 1860 aveva luogo in Toscana il plebiscito, e si domandava alla plebe: "Volete l'unione alla monarchia costituzionale di Re Vittorio Emanuele II?" E la plebe rispose sì, sì, sì.

Lo spoglio dei voti ne presentò 566.571 che volevano l'unione, e soli 14.925 che domandavano un regno separato.





VI° Plebiscito (Emilia).

Negli stessi giorni 11 e 12 marzo venne interrogata la plebe dell'Emilia, ossia di Parma, Modena e Romagne, "se voleva l'annessione alla monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele II". E la plebe rispose sì, sì, sì: Viva l'annessione!

Vuotate le urne, esaminati i voti, se ne trovarono 426.006 per l'annessione, e la miseria di 756 pel regno separato.



VII° Plebiscito (Napoli).

Il 21 dell'ottobre del 1860 fu il giorno felicissimo del plebiscito nelle province napoletane. L'interrogazione era questa: "Il popolo vuole l'Italia una ed indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale e suoi legittimi discendenti?"

Il popolo napolitano rispose con un solennissimo sì, e fu proclamato il lieto risultato dei voti, lo splendido plebiscito, come chiamavano il conte di Cavour: 1.302.064 sì e soli 10.512 poverissimi no.



VIII° Plebiscito (Sicilia). 

Se i Napolitani dicevano sì, i Siculi non volevano certamente die no. E la plebe siciliana nello stesso giorno 21 di ottobre 1860 fu interrogata: "Il popolo siciliano vuole l'Italia una ed indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale e suoi legittime discendenti?

Ben 432.053 Siciliani con una bocca sola risposero: sì, sì, sì, ed appena 667 infelici osarono rispondere no, quasi per far meglio risaltare l'eloquenza e la spontaneità dei sì.

IX° Plebiscito (Marche).

Alla plebe delle Marche si addimandò nei giorni 4 e 5 di novembre del 1860: "Volete far parte della monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele II?" E lo scitum della plebe fu affermativo.

133.807 Marchigiani risposero sì, sì, sì e soli 1.212 retrogradi dissero un no liberticida. 



X° Plebiscito (Umbria).

Finalmente gli Umbri furono interrogati e parlarono negli stessi giorni i Marchigiani. La domanda fu la medesima: "Volete far parte della monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele?" ed eguale fu la risposta: sì, sì, sì.

Nelle urne dell'Umbria ritrovaronsi 97.040 voti affermativi e soltanto 380 negativi.

Ora è vicino il giorno dei Veneti, i quali probabilmente saranno chiamati a votare in questo mese o sul cominciare di settembre. Ma chi ardirebbe soltanto temere un no dai Veneti? Essi risponderanno sì, come hanno già risposto sì i cittadini di Rovigo e di Padova acclamando Vittorio Emanuele II."


E vediamoli un pò più da vicino questi referendum.

Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo "Il gattopardo" scrive:

"Alla folla invisibile nelle tenebre annunziò che a Donnafugata il Plebiscito aveva dato questi risultati:

Iscritti 515; votanti 512; "si" 512; "no" zero." Eppure Ciccio Tumeo assicura:

"Io, Eccellenza, avevo votato no. No, cento volte no." E più avanti:

"E quei porci in Municipio s'inghiottono la mia opinione, la masticano e poi la cacano via trasformata come vogliono loro. Io ho detto nero e loro mi fanno dire bianco!"

In Toscana il superpatriottico barone Bettino Ricasoli impartì la fermissima disposizione:

"Gli intendenti agricoli, a capo dei loro amministrati, il più influente proprietario rurale a capo degli uomini della sua parrocchia, il cittadino più autorevole a capo degli abitanti di una strada, di un quartiere........ ordineranno e condurranno gli elettori alle urne della Nazione".

A Pescia, Giorgio Magnani diceva ai suoi contadini:

"Chi non vota, non pota".

Cesare Cantù racconta come si svolgevano le operazioni di voto a Napoli :

"Il plebiscito giunge a fino al ridicolo, poichè oltre a chiamare tutti a votare sopra un soggetto dove la più parte erano incompetenti, senza tampoco accertare l'identità delle persone e fin votando i soldati, si deponevano in urne distinte i SI e i NO, che lo rendeva manifesto il voto; e fischi, e colpi e coltellate a chi lo desse contrario.

Un villano gridò: Viva Francesco II ! E fu ucciso all'istante" (2)

Illuminante é il seguente dialogo tratto da "Le elezioni comunali in villa" nelle quali il Pittarini descrive i fatti tragicomici che caratterizzarono le elezioni post 1866:

1° contadino: Ciò, chi ghetu metesto ti sulle schede?

2° contadino: Mi gniente, me la ga consegnà el cursore scrite e tutto.

1° contadino: E anca mi isteso, manco fadiga.

2° contadino: Manco secade.

Mi sembra giusto sottolineare che il Pittarini, fu membro del Comitato Liberale Vicentino e che fu arrestato dalle autorità austriache nel 1859: non siamo dunque di fronte ad un austriacante, bensì a un liberale veneto che si accorgeva d'avere semplicemente cambiato padrone e di aver cambiato in peggio. Del resto, che i brogli elettorali fossero prassi diffusa ce lo conferma perfino il buon Garibaldi sostenendo che "la corruzione dei pubblicisti, nei plebisciti, nei collegi elettorali, nella Camera, nei Ministeri, nei Tribunali fu alzata a sistema di governo" (3).

Altrettanto interessante quanto scrive nel 1903 lo storico Luigi Sutto di Rovigo, incaricato dal costituendo Museo del Risorgimento "Carlo Alberto", di ricostruire dati ed episodi del Plebiscito. L'insuccesso del suo impegno durato qualche anno fu quasi totale. Il decreto sulle norme del Plebiscito prevedeva che i pretori trasmettessero alla Corte d'Appello i verbali dei risultati Comune per Comune del referendum. Il nostro ebbe apprezzamenti e consigli anche in sede ministeriale, ma non ebbe mai in visione i fascicoli. E annota sconsolato che nè pretura nè Municipi li hanno! Sutto scrive: "Nelle mie ricerche e investigazioni... ho potuto conoscere solamente i voti dei singoli Comuni del Friuli, nessun giornale del Veneto fece altrettanto, nemmeno la Gazzetta di Venezia, che neppure pubblicò i voti dei Comuni appartenenti alla provincia di Venezia....

Ho voluto scrivere tutto ciò perchè sarebbe interessante conoscere i voti del Plebiscito dati dal 1866 da ciascun Comune del Veneto.

................ Però da biasimare la nostra ignoranza e la nostra noncuranza: è deplorevole che i Comuni non conoscano i voti che essi hanno dato per la loro unione alla Patria, voti che in pari tempo indicano la fine della dominazione straniera." (4)

E tutto questo tenendo conto che come giustamente scrive Federico Bozzini nel suo "L'Arciprete e il cavaliere":

"C'è stato dopo il 1866 un concorso generale a truccare e a italianizzare ex post tutti i brandelli di storia dell'opposizione veneta al dominio austriaco".

(1) Tratto dai "Quaderni Veneti" n. 2 a cura del Centro Studi Agostino Bertoldo Verona 1992

(2) Gilberto Oneto - La Padania 28.1.1997 

(3) Gazzettino 5.12.1982

(4) Gazzettino 18.11.1992


21 E 22 OTTOBRE 1866: FU VERA FESTA?

Il plebiscito che sancì l'annessione del Veneto all'Italia (*) viene liquidato dai nostri libri di storia in poche battute visto che la storiografia ufficiale sostiene che "tutto si svolse con mirabile ordine e fra universali manifestazioni di gioia" (1).

Riepilogando: un trattato internazionale (fra Austria e Prussia, 23 agosto a Praga) prevede il passaggio del Veneto alla Francia che poi lo consegnerà ai Savoja; nel trattato di pace di Vienna fra l'Italia e l'Austria del 3 ottobre si parla testualmente di "sotto riserva del consenso delle popolazioni debitamente consultate":un riconoscimento internazionale al diritto all'autodeterminazione del popolo veneto che in quel momento ha la sovranità sul suo territorio.

Teniamo anche presente che c'è stata l'ipotesi, come scrisse l'ambasciatore asburgico a Parigi Metternich al suo ministro degli esteri Mensdorff-Pouilly il 3.8.1866, di arrivare a "l'indipendenza della Venezia sotto un governo autonomo com'era la vecchia Repubblica"

Il plebiscito avrebbe dovuto svolgersi sotto il controllo di una commissione di tre membri che "determinerà, in accordo con le autorità municipali, il modo e l'epoca del plebiscito, che avrà luogo liberamente, col suffragio universale e nel più breve tempo possibile". Così era stato concertato dall'ambasciatore d'Italia a Parigi Costantino Nigra con il governo francese (2), che sembrava determinato a svolgere fino in fondo il proprio ruolo di garante internazionale sancito anche dal trattato di pace fra Prussia e Austria..

Il governo italiano invece, e in particolare il presidente Bettino Ricasoli interpretava pro domo sua i trattati:

"Quando si tratta del plebiscito si tratta di casa nostra; non è già che si faccia il plebicito per obbedienza o per ottemperare al desiderio di qualche autorità straniera..... La pazienza ha il suo limite. Perbacco!

La cessione del Veneto fu nel Parlamento inglese chiamata un insulto all'Italia. Concedendo la presenza del generale francese all'effetto delle fortezze, mi pare di concedere molto" così sosteneva il Barone Ricasoli.(3) 

Mai fidarsi degli italiani!

E così uno sconsolato generale Le Boeuf scrive a La Valette il 15 settembre:

"Nutre inquitudini per l'ordine pubblico: le municipalità fanno entare le truppe italiane o si intendono col re, che governa una gran parte: egli deve lasciar fare. Il plebiscito non si potrà fare che col re e col governo"(4) 

Altro che controlli, altro che garanzie internazionali!

Lo stesso generale Le Boeuf annunciava il 18 ottobre a Napoleone III che ha protestato contro il plebiscito decretato dal re d'Italia: Napoleone gli dice di lasciar perdere. (5) 

La Francia praticamente rinuncia al proprio ruolo di garante internazionale e consegna il Veneto ai Savoja.

E' interessante leggere a questo punto sia la circolare del Commissario del re per la Provincia di Belluno datata 5 ottobre sia il Manifesto del 7 ottobre che indice il plebiscito (vedi fra i documenti allegati).

Ed è ancora più interessante leggere cosa rispondono i Comuni: (6) 

Puos 12/10

"a Presidenti del Comizio di questo Comune nel giorno che verrà stabilito e nel quale concorrerà questa popolazione unanime a deporre nell'Urna quel SI cui farà conoscere il desiderio di unirsi al tanto sospirato Regno d'Italia"

Lozzo 10/10.

"In pari tempo si fa dovere la sottoscritta di assicurare S.E. che della medesima non mancherà di adoperarsi affinchè la votazione abbia a riuscire di unanime accordo pella dedica a S.M. il Re Vittorio Emanuele II"

Auronzo 8/10.

"Tanto si affretta lo scrivente Municipio di partecipare la S.V. e fin da questo momento può assicurare sull'esito pieno del suffragio di questo Comune a favore dell'unità del regno d'Italia."

Dieci giorni prima del voto non c'era alcuna incertezza: popolazione unanime.

Una quasi unanimità che venne poi rispettata al momento del voto; già, ma anche i numeri non quadrano.

Il 27 ottobre la Corte d'Appello proclama l'esito della consultazione: "SI 641.758", "NO 69".

Nella lapide del Palazzo Ducale si parla di "Pel SI voti 641.758", "Pel NO voti 69", "Nulli 273"; Alvise Zorzi in "Venezia austriaca" (pag. 151) parla di "SI 647.246", "NO 69", Denis Mack Smith "Storia d'Italia 1861-69" parla di "SI 641.000", "NO 69".

E su questi numeri si impongono almeno due considerazioni: i voti favorevoli sono attorno al 99,99 %: una percentuale che non fu ottenuta neppure dai regimi più feroci, da Stalin a Hitler.

La seconda, gli abitanti che votarono effettivamente furono comunque meno di 650.000 su una popolazione di circa 2.500.000 abitanti, circa il 26 per cento: avevano diritto al voto solo i maschi con più di 21 anni.

Altro che il suffragio universale concordato dall'ambasciatore Nigra!

Suffragio universale che era già stato adottato dalla Repubblica Veneta di Daniele Manin nel 1848; ma quelli erano veneti, adesso gli interlocutori sono gli italiani, i Savoja ed è proprio questo che i francesi, coloro che dovevano "tutelare" il popolo veneto, non hanno capito!

Di sicuro il plebiscito venne "preceduto da una vera campagna di stampa intimidatoria dei fogli cittadini, preoccupatissimi per l'influenza che il clero manteneva nelle zone rurali dove, aveva scritto in settembre il "Giornale di Vicenza", -i campagnoli furono lasciati nell'ignoranza o nell'apatia d'ogni civile concetto, educati all'indifferenza per ogni sorta di governo" (7) 

Si scriveva ad esempio "ricordino essi (i Parroci e i Cooperatori dei ns. villaggi) che ove in alcuna parrocchia questo voto non fosse sì aperto, sì pieno quale lo esige l'onore delle Venezie e dell'Italia, sarebbe assai difficile non farne mallevadrice la suddetta influenza clericale, e contenere l'offeso sentimento nazionale dal prendere contro i preti di quelle parrocchie qualche pubblica e dolorosa soddisfazione. (8) 

Questa politica intimidatoria tuttavia non ebbe grossi effetti sulla partecipazione popolare: "A Valdagno, ad esempio nonostante il plebiscito venisse decantato non come semplice formalità e cerimonia, ma una festa, una gara, solo circa il 30% sulla complessiva popolazione del Comune si recò a votare, mentre un buon 70%, per chissà quale motivo, preferì continuare ad occuparsi dei fatti propri, indifferente all'avvenimento.

Analogamente in tutti i distretti....." (9) 

E' la conferma del fatto che il cosiddetto risorgimento fu nel Veneto un momento al quale la stragrande maggioranza del nostro popolo partecipò con grande indifferenza, passiva .

E questo ce lo conferma Mack Smith che scrive "Garibaldi si infuriò perchè i Veneti non si erano sollevati per conto proprio, neppure nelle campagne dove sarebbe stato facile farlo".

Sulla libertà del voto e sulla segretezza dello stesso ci illumina la lettura di "Malo 1866" di Silvio Eupani:

"Le autorità comunali avevano preparato e distribuito dei biglietti col si e col no di colore diverso; inoltre, ogni elettore, presentandosi ai componenti del seggio, pronunciava il proprio nome e consegnava il biglietto al presidente che lo depositava nell'urna". 

E Federico Bozzini così descrive nel suo "L'arciprete e il cavaliere" quanto avvene a Cerea:

"Come già si disse -continua il commissario- vi devono essere due urne separate, una sopra un tavolo, l'altra sopra l'altro. Se per caso non avesse urne apposite, potrà adoperare due misure di capacità pei grani, cioè una quarta od un quartarolo. Sopra una sarà scritto ben chiaro il SI, sopra l'altra il NO". E più avanti:

"I protocolli sono due, -uno pei votanti che presentano il viglietto del SI, l'altro dei votanti che presentano il viglietto del NO, per modo che il numero complessivo dei viglietti che, finita la votazione, si troveranno in ciascheduna urna, dovrà corrispondere all'ultimo numero progressivo del protocollo.

Nel protocollo pei viglietti del NO si dirà: votarono negativamente i seguenti cittadini. La piena pubblicità del voto rende inutile lo spoglio finale." E alla fine:

"La commissione quindi conclude il presente Protocollo gridando: Viva l'Italia unita sotto lo scettro della Casa di Savoja".

Di particolare interesse, sempre sul volume del Bozzini, la citazione della Gazzetta di Verona del 17 ottobre 1866: "Si, vuol dire essere italiano ed adempire al voto dell'Italia. No, vuol dire restare veneto e contraddire al voto dell'Italia".

Una sottolineatura di straordinaria importanza: già allora qualcuno aveva capito che una cosa erano i veneti e un'altra gli italiani e che gli interessi degli uni raramente coincidevano con gli interessi degli altri.

Cosa che del resto aveva ben capito Napoleone Bonaparte quando consigliava al figliastro di non ascoltare chi gli suggeriva di dare a Venezia un pò più di autonomia, invitandolo, invece, a mandare "degli italiani a Venezia e dei Veneziani in Italia" (10)

(*) Il plebiscito riguardò il Veneto, il Friuli (le attuali province di Pordenone e Udine) e la provincia di Mantova 

(1) A. Saitta - Storia illustrata 06/1966 Mondadori

(2) M.A.E., Corr. pol., Consults Autrische, vol 27, pagg. 225-229

(3) Lettere e documenti del Barone Bettino Ricasoli, a cura di Tabarrini e Gotti, Firenze 1893

(4) Les Origines, Xii, 297 ss, n. 2596-2597 

(5) M.A.E. Corr. pol., Consults Autrische, vol 27, pag. 284

(6) Antonio Roldo Dolomiti O8/93

(7) E. Franzina - Vicenza storia di una città- Neri Pozza editore p. 700

(8) A. Navarotto - Ottocento vicentino Padova 1937

(9) A. Kozlovic - immagini del risorgimento vicentino - Pasqualotto 1982

(10) A. Zorzi - Venezia Austriaca pag.32 - Laterza

........... E ARRIVARONO I "LIBERATORI"

La conseguenza più importante dell'arrivo degli italiani fu......la partenza dei veneti.

Un'emigrazione biblica che investì il nostro popolo in seguito ad uno stato di miseria e di disperazione come mai nella nostra storia. Interi paesi emigrarono alla ricerca della "Merica", soprattutto nell'America Latina e in particolare nel Brasile meridionale, ricreando un altro Veneto al di là dell'Oceano (Nova Bassano, Nova Vicenza, Nova Padua ecc.), un Veneto che dopo oltre centovent'anni conserva tenacemente la propria cultura, le proprie tradizioni, la propria lingua (1).

E la tabella riprodotta dimostra in maniera inequivocabile il dramma delle nostre comunità: (2)
Espatri medi annui per 1.000 abitanti nelle regioni italiane: graduatoria

E la rabbia dei veneti viene mirabilmente descritta in un passo de "I va in Merica" una poesia del grande Berto Barbarani:

"Porca Italia -i bastiema- andemo via!"

Per coloro che rimasero fame, tasse (in particolare quella sul macinato, una vera e propria tassa sulla miseria), disperazione.

"Nelle nostre campagne sono poveri tutti, i fittavoli, i proprietari di fazzoletti di terra; incredibilmente poveri i braccianti, i salariati, gli artigiani rurali" così scriveva D. Lampertico.

E il malcontento cresceva: ecco allora la necessità di rafforzare l'apparato repressivo.

Sentiamo cosa scrive l'"Arena di Verona", giornale da sempre nazional-tricolore il 9 gennaio 1868:

"Fra le mille ragioni per cui noi aborrivamo l'austriaco regime, ci infastidiva sommamente la complicazione e il profluvio delle leggi e dei regolamenti, l'eccessivo numero di impiegati e specialmentemene di guardie e di gendarmi, di poliziotti e di spie. Chi di noi avrebbe mai atteso che il governo italiano avesse tre volte tanto di regolamenti, tre volte tanto di personale di pubblica sicurezza, di carabinieri ecc....?"

I liberatori "taliani" arrivarono al punto di proibire le tradizionali processioni religiose in quanto "assembramento pericoloso per l'ordine pubblico"! (3)

Ma nonostante questo l'intero territorio veneto è costellato da tutta una serie di rivolte, di manifestazioni: da Thiene a S. Germano (Vi), da Cavarzere al Cadore, a Legnago alle manifestazioni polesane de "La Boje".

Ma di tutto questo nella storiografia ufficiale non c'é traccia: "tutto si svolse con mirabile ordine e fra universali manifestazioni di gioia" (4).

Ed è ancora Federico Bozzini su "Ombre Bianche"(Aprile 1979) a denunciare tutto questo:

"La storia della nostra regione, così come ci è stata raccontata dagli storici ufficiali ed accademici, è un falso solenne direttamente funzionale a costruire un'immagine mona della nostra gente. Citavo, a titolo di esempio, il racconto di due autori, uno marxista e l'altro cattolico, a proposito di un fatto storico preciso: la conquista piemontese della nostra regione" e più avanti:

"In buona sostanza, secondo la storia ufficiale, nell'ottobre del 1866 i contadini veneti con occhio ebete guardaron partire i padroni austriaci e videro arrivare quelli piemontesi. Si tolsero deferenti il cappello e continuarono a lavorare e a digiunare come sempre. Non successe nulla."

Per non parlare della sistematica distruzione del patrimonio culturale e linguistico del Veneto: l'Italia nasceva accentratrice, calpestando la cultura e l' identità dei singoli popoli, all'insegna del "Fatta l'Italia, bisogna fare gli italiani": a oltre centotrent'anni di distanza sono ben lontani da tale aberrante "soluzione finale".

E l'ira della nostra gente, che tante volte viene accompagnata da una buona dose di ironia, fu espressa in tutta una serie di filastrocche, alcune delle quali ancora oggi molto popolari.

Partiamo da questo riassunto politico-alimentare: 

"Co San Marco comandava

se disnava e se senava.

Soto Franza, brava xente,

se disnava so' amente.

Soto Casa de Lorena

no se disna e no' se sena.

Soto Casa de Savoja

de magnare te ga voja." (5)

E ci sono anche delle varianti:

"e col regno de Sardegna

chi lo ha in tel cul

se lo tegna!" (6)

Per non parlar di quel

"Viva Savoja!

chè i n'à portà 'na fame roja" (7)

o di quanto scrive Dino Durante nel "Strologo 88":

"Eco na strofeta che nell''800 cantava i veneti i quali, evidentemente, no gera tuti amanti dell'Italia

- Co le teste dei taliani

zogaremo le borele (bocce)

e Vittorio Manuele metaremo par balin".

Alberto Benedetti nel suo "Montagne e montagnari tra Verona e Kufstein" scrive testualmente:

"quassù erano così infervorati della liberazione e dell'Italia unita che cantavano spesso:

- Vegnerà Vitorio Manuele

se patirà nà stissa de coele

'l vegnarà con mostaci e barbeta

se patirà 'na fame maledeta

e più avanti

- Se dura il furor dei monumenti

un monumento avrà Quintino Sella

che con un tratto di saggezza rara

la polenta ci ha resa assai più cara".

Sempre a Verona, un battagliero giornale satirico dell'epoca, "L'asino", commentava così l'unità:

"Noi l'abbiam fatta! l'abbiam fatta noi!

- dicono in coro gli italiani eroi -

l'avete fatta, è vero, ma per Dio,

puzza che leva il fiato! dico io" (8)

Un altro episodio che la dice lunga sul patriottismo tricolore dei veneti accadde a Bolzano Vicentino nel corso del Consiglio comunale del 19.05.1875.

Il Sindaco Giacomo Giaretta faceva presente l'opportunità di acquistare un fascia tricolore per portarla nelle pubbliche manifestazioni. Messa ai voti la proposta, si trovò con nove contrari e un sol favorevole! (9).

E allora non può non venirci in mente quanto Mario Zocaro, pseudonimo di Pietro Zenari, per lunghi anni parroco a Caldiero (VR), fa dire al contadino Zelipo in una commedia:

"Coss'ela sta Italia, sta patria, compare

coss'è ste cose che ghemo da amare?"



(1) Vedi la delibera di Sergio Antonio Massolini, Sindaco di Serafina Correa (Rio Grande do Sul Brasile) che in data 18/7/1988 decreta il veneto lingua ufficiale del comune nella settimana che va dal 23 al 31 luglio

(2) E. Sori - L'emigrazione italiana dall'unità alla seconda guerra mondiale 1979 Il Mulino

(3) La difesa del popolo, settimanale della diocesi di Padova, 10/5/1981

(4) A. Saitta - Storia illustrata 06/1966 Mondadori

(5) G. Distefano, G. Paladini - Storia di Venezia 1797-1997 - II° Supernova- p 276

(6) A. Moret "L'ultimo cantastorie" vittorio Veneto 1978

(7) A. Balladoro "Nuovi motti dialogati veronesi" in Archivio per le tradizioni popolari Vol. XVIII, 1899

(8) L'Arena 5.9.1988

(9) Bellabarba-Mometto "Dalla convicina al comune-Bolzano Vic. nei secoli XV-XIX"

LA PACE DI VIENNA FRA ITALIA ED AUSTRIA 

(3 Ottobre 1866)

In nome della Serenissima ed Indivisibile Trinità.

Sua Maestà il Re d'Italia e Sua Maestà l'Imperatore d'Austria avendo risoluto di stabilire fra i Loro Stati rispettivi una pace sincera e durevole: S.M. l'Imperatore d'Austria, avendo ceduto a S.M. l'Imperatore dei Francesi il Regno Lombardo Veneto: S.M. L'Imperatore dei Francesi dal canto suo, essendosi dichiarato pronto a riconoscere la riunione del detto Regno Lombardo Veneto agli Stati di S.M. il Re d'Italia, sotto riserva del consenso delle popolazione debitamente consultate: S.M. il Re d'Italia e S.M. l'Imperatore d'Austria hanno nominato per Loro Plenipotenziari: S.M. il Re d'Italia, il Signor Luigi Federico Conte di Menabrea, Senatore del Regno, Gran Cordone dell'Ordine Militare di Savoia, Cavalier dell'Ordine del Merito civile di Savoia, Grand'Ufficiale dell'Ordine dei SS Maurizio e Lazzaro, decorato della medaglia d'oro al valor militare, Luogotenente Generale, Comandante Generale del genio all'armata e Presidente del Comitato dell'arma, ecc. ecc - Sua Maestà l'Imperatore d'Austria, il Signor Felice Conte Wimpffen, Suo ciambellano attuale, Inviato Ministro plenipotenziario in missione straordinaria, ecc. -

I quali dopo essersi scambiati i loro pieni poteri rispettivi, trovati in buona e debita forma, sono convenuti degli articoli seguenti:



Art. 1 Dal giorno dello scambio delle ratifiche del presente trattato vi sarà pace ed amicizia tra S.M. il Re d'Italia e S.M. l'Imperatore d'Austria, Loro Eredi e successori, Loro Stati e sudditi rispettivi in perpetuo. 



Art. II I prigionieri di guerra italiani e austriaci saranno immediatamente restituiti dall'una e dall'altra parte.



Art. III S.M. l'Imperatore d'Austria, consente alla riunione del Regno Lombardo-Veneto al Regno d'Italia.



Art. IV La frontiera del territorio ceduto è determinata dai confini amministrativi attuali del Regno Lombardo-Veneto.

Una commissione militare istituita dalla due Potenze contraenti sarà incaricata di eseguire il tracciato sul terreno entro il più breve tempo possibile.



Art. V L'evacuazione del territorio ceduto e determinato dall'articolo precedente comincerà immediatamente dopo la sottoscrizione della pace, e sarà terminata il più breve termine possibile, conforme agli accomodamenti combinati fra i Commissari speciali a questo effetto designati.



Art. VI Il Governo italiano prenderà a suo carico: !° la parte del Monte Lombardo-Veneto che rimase all'Austria in virtù della Convenzione conclusa a Milano nel 1860 per l'esecuzione dell'articolo 7 del trattato di Zurigo; 2° I debiti aggiunti al Monte Lombardo-Veneto dal 4 giugno 1859 fino al giorno della conclusione del presente trattato; 3° Una somma di 35 milioni di fiorini, valuta austriaca, denaro effettivo, per la parte del prestito del 1854 riguardante la Venezia e per il prezzo del materiale da guerra non trasportabile. Il modo di pagare di tal somma di 35 milioni di fiorini, valuta austriaca, denaro effettivo, sarà conforme al precedente del trattato di Zurigo, determinato in un articolo addizionale.



Art. VII Una commissione composta dei Delegati dell'Italia, dell'Austria e della Francia, procederà alla liquidazione delle differenti categorie enunciate nei due primi allinea dell'articolo precedente, tenendo conto delle ammortizzazioni effettuate e dei beni capitali d'ogni specie costituenti i fondi d'ammortizzazione. Questa Commissione precederà al definitivo regolamento dei conti fra le Parti contraenti e fisserà l'epoca ed il modo di esecuzione della liquidazione del Monte Lombardo-Veneto.



Art. VIII Il Governo austriaco resterà obbligato al rimborso di tutte le somme sborsate dagli abitanti del territorio ceduto, dai comuni, stabilimenti pubblici e corporazioni religiose nelle casse pubbliche austriache a titolo di cauzione, depositi o consegne. Similmente i sudditi austriaci, comuni, stabilimenti pubblici e corporazioni religiose che avranno versato delle somme a titolo di cauzione o depositi o consegne nelle casse del territorio ceduto saranno esattamente rimborsati del Governo italiano.



Art. IX Il Governo austriaco resterà obbligato al rimborso di tutte le somme sborsate dagli abitanti del territorio ceduto, dai comuni, stabilimenti pubblici e corporazioni religiose nelle casse pubbliche austriache a titolo di cauzione, depositi o consegne.. Similmente i sudditi austriaci, comuni, stabilimenti pubblici e corporazioni religiose che avranno versato delle somme a titolo di cauzione o depositi o consegne nelle casse del territorio ceduto saranno esattamente rimborsati dal Governo italiano.



Art. X Il Governo di S.M. il Re d'Italia riconosce e conferma in tutte le loro disposizioni e per tutta la loro durata le concessione delle vie ferrate accordate dal Governo austriaco sul territorio ceduto ed in special modo le concessioni resultanti dai contratti posti in essere in data del 14 marzo 1856, 8 aprile 1857 e 23 settembre 1858.

Il Governo italiano riconosce e conferma parimenti le disposizioni della convenzione fatta il 20 novembre 1861 fra l'amministrazione austriaca e il Consiglio d'amministrazione della società delle ferrovie dello Stato del Sud Lombardo-Veneto e Centrali Italiane, così come la convenzione fatta il 27 febbraio 1866 fra il Ministro Imperiale delle Finanze e del Commercio e la Società austriaca del Sud.

A datare dallo scambio delle ratifiche del presente trattato, il Governo italiano è surrogato in tutti i diritti e in tutte le obbligazioni risultanti per il Governo austriaco delle suddette convenzioni, per quanto riguarda le linee delle vie ferrate situate sul territorio ceduto.

In conseguenza, il diritto di devoluzione che apparteneva al Governo austriaco riguardo alle dette vie ferrate viene trasferito nel Governo italiano.

I pagamenti che rimangono da fare sulla somma dovuta allo Stato dai concessionari, in virtù del contratto del 14 marzo 1856, come equivalente delle spese di costruzione delle dette austriaco. I crediti degli intraprenditori di costruzioni e dei fornitori, come pure le indennità per le espropriazioni dei terreni relativi al periodo in cui le strade ferrate in questione erano amministrate per conto dello Stato, che non fossero ancora stati soddisfatti, saranno pagati dal Governo austriaco; e per quanto essi vi siano obbligati in virtù dell'atto di concessione, dai concessionari a norme del Governo austriaco.



Art. XI E' stabilito che l'incasso dei crediti risultanti dai paragrafi 12, 13, 14,15 e 16 del contratto del 14 marzo 1856 non darà all'Austria alcun diritto di controllo e di sorveglianza sulla costruzione e sull'esercizio delle vie ferrate nel territorio ceduto. Il Governo italiano si impegna dal conto suo di dare tutte le informazione che potrebbero essere richieste a questo cessione, dal concessionari a nome del Governo austriaco.



Art. XII All'effetto di estendere alle strade ferrate della Venezia le prescrizione dell'articolo 15 della convenzione del 27 febbraio 1866, le altre Potenze contraenti si impegnano a stipulare, tostochè far si possa, di concerto conla Società delle strade ferrate austriache del Sud, una convenzione per la separazione amministrative ed economica dei gruppi delle vie ferrate venete ed austriache.

In virtù della convenzione del 27 febbraio 1866 la garanzia che lo Stato deve pagare alla Società delle strade ferrate austriache del Sud dovrà esser calcolata sulla base del prodotto lordo dell'insieme di tutte le linee venete e austriache attualmente concessa alla società.

E' inteso che il Governo italiano prenderà a suo carico la parte proporzionale di questa garanzia che corrisponde alle linee del territorio ceduto, e che per la valutazione di questa garanzia si continuerà a prendere per base l'insieme del prodotto lordo delle linee venete ed austriache concesse alla detta società.





Art. XIII I Governi d'Italia e d'Austria, desiderosi di estendere i rapporti fra i due Stati, si impegnano a facilitare le comunicazioni per via ferrata e a favorire la creazione di nuove linee onde congiungere fra loro le reti italiane e austriache.

Il Governo di S.M.I.R. Apostolica promette inoltre di affrettare, per quanto far si possa, il compimento della linea del Brennero destinata a unire la vallata dell'Adige con quella dell'Inn.



Art. XIV Gli abitanti o originari del territorio ceduto godranno, per lo spazio di un anno a datare dal giorno dello scambio delle ratifiche e mediante una preventiva dichiarazione all'autorità competente, piena ed intera facoltà di esportare i loro beni mobili senza pagamento di diretti e di ritirarsi con le loro famiglie negli Stati di S.M.I.R. Apostolica, nel qual caso la qualità di sudditi austriaci sarà loro mantenuta. Saranno liberi di conservare i loro immobili situati nel territorio ceduto.

La stessa facoltà è reciprocamente accordata agli individui di originari del territorio ceduto e stabiliti negli Stati di S.M. l'Imperatore d'Austria.

Gli individui i quali profitteranno delle presenti disposizioni non potranno essere: pel fatto di tale scelta, inquietati nè da una parte nè dall'altra nelle loro persone o beni situati nei rispettivi Stati.

Il termine di un anno viene portato a due anni per quegli individui originari del territorio ceduto che, all'epoca dello scambio delle ratificazioni del presente trattato, si troveranno fuori del territorio della monarchia austriaca.

La loro dichiarazione potrà essere ricevuta dalla missione austriaca più vicina o dall'autorità superiore di una provincia qualunque della monarchia.



Art. XV I sudditi Lombardo-Veneti facenti parte dell'armata austriaca verranno immediatamente liberati dal servizio militare e rinviati alle loro case.

Resta convenuto che quelli i quali dichiareranno di rimanere al servizio di S.M.I.R. Apostolica, potranno farlo liberamente senza venire inquietati per questo motivo, sia nella loro persona che nelle loro proprietà.

Le stesse garanzie sono assicurate agli impiegati civili originari del Regno Lombardo-Veneto che manifestano l'intenzione di restare al servizio dell'Austria.

Gli impiegati civili originari del Regno Lombardo-Veneto avranno la scelta, sia di rimanere al servizio dell'Austria, sia di entrare nell'amministrazione italiana, nel qual caso il Governo di S.M. il Re d'Italia s'obbliga a collocarli in funzioni analoghe a quelle che disinpegnavano, od a fissare loro delle pensioni, il cui importo verrà stabilito secondo le leggi e i regolamenti austriaci.

Resta convenuto che gli impiegati di cui trattasi verranno assoggettati alle leggi e regolamenti disciplinari dell'Amministrazione italiana.

Art. XVI Gli ufficiali d'origine italiana, che trovansi attualmente al servizio dell'Austria, avranno la scelta di rimanere al servizio di S.M.I.R. Apostolica, o d'entrare nell'armata di S.M. il Re d'Italia con i medesimi gradi che occupano nell'armata austriaca, semprechè ne facciano la domanda nel termine fisso di sei mesi a partire dallo scambio delle ratificazioni del presente trattato.



Art. XVII Le pensioni civili e militari liquidate regolarmente, e che erano a carico delle casse pubbliche del Regno Lombardo-Veneto, continueranno a rimanere acquisiste ai loro titolari, e, se è il caso, alle loro vedove e figli, e verranno in avvenire pagate dal governo di S.M. italiana.

Tale stipulazione viene estesa ai pensionati civili e militari, come pure alle loro vedove e figli, senza distinzione d'origine, i quali conserveranno il loro domicilio nel territorio ceduto ed i cui stipendi, pagati fino al 1814 dal Governo delle Province Lombardo-Venete di quell'epoca, caddero allora a carico del Tesoro austriaco.



Art. XVIII Gli archivi dei territori ceduti, contenenti i titoli di proprietà, i documenti amministrativi e di giustizia civile, come pure i documenti politici e storici dell'antica repubblica di Venezia, verranno consegnati nella loro integrità ai Commissari che saranno designati a tale scopo, ai quali verranno del pari consegnati gli oggetti d'arte e di scienza specialmente relativi al territorio ceduto.

Reciprocamente, i titoli di proprietà, documenti amministrativi e di civile giustizia, concernenti i territori austriaci, che potessero trovarsi negli archivi del territorio ceduto, verranno rimessi nella loro integrità ai Commissari di S.M.I.R. Apostolica. I Governi d'Italia e d'Austria si vincolano a comunicarsi reciprocamente, dietro domanda delle autorità superiori amministrative, tutti i documenti e le informazioni relative agli affari concernenti sia il territorio ceduto sia i paesi contigui.

Essi si vincolano pure a lasciare prendere copia autentica dei documenti storici e politici che potessero interessare i territori rimasti rispettivamente in possesso dell'altra Potenza contraente, e che nell'interesse della scienza, non potranno essere divisi dagli archivi ai quali appartengono



Art. XIX Le due alte Potenze contraenti si obbligano ad accordare reciprocamente le maggiori possibili facilitazioni doganali agli abitanti limatrici dei due paesi per l'usufrutto dello loro proprietà e l'esercizio delle loro industrie.



Art. XX I trattati e le convenzioni che vennero confermati dall'art. 17 del Trattato di pace sottoscritto a Zurigo il 10 novembre 1859 torneranno provvisoriamente in vigore per un anno e verranno estesi a tutti i territori del Regno d'Italia. Nel caso che questi trattati o convenzioni non venissero denunziati tre mesi avanti lo spirar d'un anno dalla data dello scambio delle ratificazioni, essi rimarranno in vigore e così d'anno in anno.

Tuttavia le due Alte Parti contraenti si obbligano a sottoporre nel temine d'un anno tali trattati e convenzioni ad una revisione generale per apportarvi di comune accordo le modificazioni che si reputeranno conformi all'interesse dei due paesi.



Art. XXI Le due alte Potenze contraenti riservano d'entrare, tostochè potranno farlo, in negoziati per conchiudere un trattato di commercio e di navigazione sulle basi le più larghe per facilitare reciprocamente le transazioni fra i due paesi.

Frattanto, e per il tempo fissato nell'articolo precedente, il Trattato di commercio e di navigazione del 18 ottobre 1851 rimarrà in vigore e verrà applicato a tutto il territorio del Regno d'Italia. 



Art. XXII I Principi e le Principesse di casa d'Austria, come pure le Principesse che entrarono nella Famiglia Imperiale per via di matrimonio, rientreranno, facendo valere i loro titoli, nel pieno ed intero possesso delle loro proprietà private, tanto mobili quanto immobili, di cui potranno godere e disporre senza venire molestati in modo alcuno nell'esercizio dei loro diritti.

Sono tuttavia riservati tutti i diritti dello Stato e dei particolari, da farsi valere con i mezzi legali.



Art. XXIII Per contribuire con tutti i loro sforzi alla pacificazione degli animi, S.M. il Re d'Italia e S.M. l'Imperatore d'Austria dichiarano e promettono che, nei loro territori rispettivi, vi sarà piena ed intera amnistia per tutti gli individui compromessi in occasione degli avvenimenti politici avvenuti nella Penisola fino a questo giorno. In conseguenza, nessun individuo in qualunque siasi classe o condizione potrà essere processato, molestato o turbato nella persona o nella proprietà o nell'esercizio dei suo diritti a cagione della sua condotta e delle sue opinioni politiche.



Art. XXIV Il presente Trattato sarà ratificato e le ratifiche saranno scambiate a Vienna nello spazio di quindici giorni o più presto se fare si può.

In fede di che i Plenipotenziari rispettivi lo hanno firmato e vi hanno apposto il sigillo dello loro armi.

Fatto a Vienna il dì tre del mese d'ottobre dell'anno di grazia mille ottocento sessantasei.

L.S. L.F. MENABREA

L.S. WINPFFEN

ARTICOLO ADDIZIONALE

Il Governo di S.M. il Re d'Italia s'impegna verso il Governo di S.M.I.R. Apostolica ad effettuare il pagamento di trentacinque milioni di fiorini, valuta austriaca, equivalente ad ottantasette milioni e cinquecentomila franchi, stipulati dall'articolo 6 del presente trattato nel modo ed alle scadenze qui appresso determinate.

Sette milioni saranno pagati in danaro contante mediante sette mandati o buoni del tesoro all'ordine del governo austriaco, ciascuno di un milioni di fiorini, pagabili a Parigi al domicilio di uno dei primari banchieri o di un istituto di credito di prim'ordine, senza interessi, allo spirare del terzo mese dal giorno della sottoscrizione del presente Trattato, e saranno rimessi al plenipotenziario di S.M.I.R. Apostolica al momento dello scambio delle ratifiche.

Il pagamento di ventotto milioni di fiorini residuali avrà luogo a Vienna in denaro contante, mediante dieci mandati o buoni del tesoro all'ordine del governo austriaco, pagabili a Parigi in ragione di due milioni ed ottocentomila fiorini, valuta austriaca, ciascuno, scadenti di due mesi in due mesi successivi. Questi dieci mandati o buoni del tesoro saranno parimenti rimessi al Plenipotenziario di S.M.I.R. Apostolica al momento dello scambio delle ratifiche.

Il primo di questi mandati o buoni del tesoro scaderà due mesi dopo il pagamento dei mandati o buoni del tesoro per i 7 milioni di fiorini qui sopra stipulati.

Per questo termine, come tutti i termini seguenti, gli interessi saranno calcolati al 5%, partendo dal primo giorno del mese che seguirà lo scambio delle ratifiche del presente Trattato. Il pagamento degli interessi avrà luogo a Parigi alla scadenza di ogni mandato o buono del tesoro. 

Il presente articolo addizionale avrà la stessa forza e valore che se fosse inserito parola per parola nel Trattato d'oggi.

Vienna, 3 ottobre 1867



(L.S.) L.F. MENABREA

(L.S.) WIMPFFEN

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