VENEZIA SOVRANA, MAI ITALIANA

Dal Corriere della Sera, 24 settembre 1996 

Caro Montanelli, 

nell’interessantissimo volume di Gian Antonio Stella "Schei", a pagina 119, lei parla di Venezia, della Repubblica Veneta come "una civiltà non italiana (quale la Serenissima mai fu né mai si sentì), ma europea e cristiana". E’ così gentile da spiegarmi il significato di un’affermazione così perentoria? 

Ettore Beggiato

 

Caro Beggiato, 
la mia affermazione non pretende affatto di essere originale e peregrina. Essa è condivisa da tutti gli storici di Venezia perché è la storia di venezia che la suggerisce, anzi la impone. Venezia non svolse mai una politica italiana come il Piemonte dei Savoia, la Lombardia degli Sforza, la Toscana dei medici, gli Stati del Papa eccetera, che consumarono il loro tempo e le loro sostanze a contendersi il dominio della penisola. Di questa, Venezia, non tentò mai di sottomettere alla propria sovranità più di quanto le occorreva per tenersi al riparo da eventuali attacchi terrestri e per impedire ai rivieraschi della laguna di sviluppare centri e mercati che della laguna potessero turbare gli equilibri e fare concorrenza a Venezia; sotto la sua sovranità una Mestre non sarebbe mai nata. Quanto alle preesistenti città che vi erano incluse, compresa la sua Vicenza, non credo che del dominio veneziano conservino buon ricordo, perché invece di favorirne lo sviluppo, lo compresse. Comunque, per vedere com'era orientata la diplomazia veneziana e quali interessi vi prevalessero, basta leggere i famosi rapporti dei suoi altrettanto famosi ambasciatori, esemplari modelli di analisi politiche (io, sia chiaro, non li ho letti tutti, ma qualcuno sì) per capire che la Serenissima non fu mai in gara per la supremazia in Italia, ma per quella sui mari (Adriatico, Mediterraneo, Mar Nero), per l'espansione e la difesa del suo vasto impero costiero e insulare che dall'Istria e dalla Dalmazia si estendeva a tutto l'arcipelago greco fino alle coste turche di Costantinopoli. Era in quella direzione che Venezia guardava, non verso l'Italia, di cui le premeva soltanto una cosa: che restasse divisa in tanti statarelli litigiosi in modo che nessuno di essi prendesse il sopravvento e diventasse una minaccia anche per lei. Questa è la storia e la tradizione di Venezia: non lo dico io, sta scritto nei fatti, e fa ancora sentire i suoi effetti. I Veneziani di oggi non hanno certamente il carattere, la fierezza e la forza dei loro antenati, grandi come marinai, come mercanti e come predoni che per secoli tennero in pugno un impero, di cui tutto si può dire tranne che fosse italiano, ma ne conservano certe pretese: come quella di considerare il dialetto una lingua e di usarla come tale non solo nel parlato (parlare in veneziano è per un veneziano di qualsiasi condizione, anche la più elevata, un segno di distinzione), ma anche nello scritto, e non senza qualche ragione, perché, per esempio, il repertorio più genuino del teatro italiano è quello veneziano. Insomma, l'italianità di Venezia è quasi soltanto geografica. E forse su questo, pur nella sua ignoranza, faceva assegnamento Bossi scegliendola come capolinea della sua scalognata marcia. Ma l'isolazionismo veneziano ha connotati troppo aristocratici per identificarsi con un secessionismo sbracato e sgangherato come quello della Lega. Comunque, caro Beggiato, lei è padronissimo di dissentire dalle mie opinioni. Ma se legge o rilegge la Storia di Venezia, vi troverà ben poco conforto di quelle che immagino siano le sue.

Indro Montanelli

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